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Otto anni dopo Genova

Otto anni dopo Genova

Cosa è cambiato nella protesta anti G8

 

di Guerrino Iacopini

 

Pubblicato su Profili Italia anno II numero 6, luglio/agosto 2009

 (clicca qui per leggere questo articolo nella versione editoriale)


Tutti noi abbiamo osservato che dopo Genova il G8 non è stato più lo stesso. L’uccisione di Carlo Giuliani, il ragazzo romano ventitreenne, no-global, morto per un colpo di pistola esploso dal carabiniere Mario Placanica durante gli scontri di piazza tra forze dell’ordine e dimostranti, ha cambiato per sempre l’anima del summit.  A Genova i no-global a sfi lare sono stati 300.000, a l’Aquila solo 3.000. Rispetto a Genova però, la manifestazione de L’Aquila è stata pacifica, solo qualche momento di tensione con la polizia, dovuto al fatto che alcuni manifestanti volevano entrare nella zona rossa, ma sono stati fermati e isolati dagli altri dimostranti e dal servizio d’ordine che questa volta a difesa del corteo c’era e ha funzionato. Il movimento forse ha capito che gli atti violenti o i disordini di ogni specie, oltre ad allontanarlo dalla gente comune, discreditano i principi che invece vorrebbero far risaltare. Il corteo, partito dalla piccola stazione di Paganica, è giunto alla Villa Comunale, nel centro storico de L’Aquila, dove è terminato tre ore dopo; vi hanno preso parte esponenti di Rifondazione Comunista, dei sindacati di base e dei Cobas, oltre alle delegazioni di “No Dal Molin”. Ma dal G8 del 2001 cosa è cambiato? Molto, potremmo dire. I summit sono stati sempre organizzati in piccoli centri o località turistiche, più solitarie e meglio governabili. La crisi mondiale ha fatto sì che il G8 sia diventato di fatto il G20, includendo i nuovi protagonisti dell’economia mondiale come Cina, India e Brasile. Come si è potuto notare, i “no global” sono solo un lontano ricordo. Tutti quelli che a Genova, compattamente, si erano fatti notare con lo slogan “Un altro mondo è possibile”, non esistono più. Alcuni hanno scelto di dare vita a proteste più locali come quelli di “No Tav” o “No Dal Molin”, altri sono tornati ai centri sociali e all’anarco-insurrezionalismo, altri ancora hanno deciso di occuparsi esclusivamente di ambiente e di riscaldamento globale. I più scaltri si sono buttati in politica, come Francesco Caruso, rappresentante del movimento no-global del Sud Italia e deputato uscente di Rifondazione Comunista, o l’ex leader del “Genoa Social Forum”, Vittorio Agnoletto, che ha pensato bene fosse meglio sedere sulla poltrona di eurodeputato, anziché continuare a fare il capo di un’armata allo sbando. Forse è per questo che a L’Aquila Agnoletto nessuno l’ha visto. Anche i Black block, che al G20 di Londra c’erano, a l’Aquila non si sono visti. E a otto anni di distanza ci si domanda: “ Qual è il motivo che sta portando all’estinzione i movimenti No Global?”. La risposta è semplice: tutti questi movimenti erano l’animus di una sinistra che non esiste più. Una sinistra che non è stata capace di rinnovarsi e che ha pensato solo a mantenere le posizioni di potere conquistate nel tempo. Una sinistra sempre più lontana dalla gente, basti pensare che tre operai su cinque oggi votano il Cavaliere. Guardandosi indietro, i ragazzi dei centri sociali e dei vari movimenti si sono accorti di essere stati abbandonati. Non solo non c’è più nessuno pronto a difenderli, per loro è diventato persino difficile credere all’ultimo slogan gridato ai potenti della terra, “Non pagheremo la vostra crisi”. Molti hanno capito che invece non sarà così. Quelli che non sono andati a l’Aquila hanno compreso pure che a Genova la manifestazione non ha portato nessun beneficio all’umanità, ha solo consentito a qualche partito di prendere più voti e a un paio di capetti di diventare onorevoli. Il tutto al prezzo più alto che si potesse immaginare. La vita di Carlo Giuliani.

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